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La nuova disciplina delle prove in appello

01 Febbraio 2024 |

Nella riforma del processo tributario, la più rilevante novità per il grado d’appello è rappresentata dal divieto di proporre “nuovi documenti”, salvo che risultino “indispensabili” per la decisione o che non siano già stati prodotti per causa non imputabile all’appellante. Questa novità impone di individuare la portata del concetto di “indispensabilità” e di valutare adeguatamente la strategia processuale fin dal primo grado.

Fino all'entrata in vigore del decreto di riforma del processo tributario (4 gennaio 2024), emanato nell'ambito di attuazione della Delega Fiscale, l'art. 58 D.Lgs. 546/92, dopo aver previsto al primo comma il divieto per il giudice d'appello di acquisire nuove prove, salvo che risultassero “necessarie” ai fini della decisione o non già prodotte in giudizio per causa non imputabile alla parte interessata, nel secondo comma disponeva che era comunque “fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.

La Corte costituzionale aveva ritenuto legittimo l'art. 58, nella formulazione previgente, sul presupposto che “la previsione che un'attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile" (Corte cost., 14 luglio 2017 n. 199). In questo modo, la Consulta aveva confermato la “specialità” dell'appello nel giudizio tributario rispetto a quello civile, che pur ne rappresenta il principale parametro di riferimento.

D'altra parte, in base al testo dell'art. 58 antecedente alla riforma, la Corte di Cassazione aveva ritenuto legittima la produzione in appello dei documenti nei casi in cui: a) l'omessa produzione in primo grado risultasse imputabile alla parte interessata (Cass., n. 10489/2014); b) la produzione del documento fosse dichiarata inammissibile dal collegio di prime cure (Cass., n. 24398/2016); c) nel grado di appello fossero prodotti documenti (prima) non versati in atti in violazione di un espresso ordine di esibizione da parte del giudice (Cass., n. 3353/2013).

Il tenore letterale della disposizione e l'interpretazione giurisprudenziale, unitamente alla natura documentale del processo tributario, avevano consolidato la convinzione che nessuna rilevante preclusione probatoria sussistesse nel giudizio d'appello davanti alla Corti tributarie.

Questa granitica convinzione viene travolta dalla recente novella legislativa.

L'attuazione della Delega Fiscale

Con il D.Lgs. 220/2023 (recante la riforma del processo tributario), infatti, l'art. 58 è stato modificato prevedendo l'eliminazione della possibilità di depositare “nuovi documenti” in appello, a meno che il collegio li ritenga “indispensabili” ai fini della decisione o che la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

Si deve tener presente che per “nuovi documenti” si intendono quelli non ancora prodotti in giudizio: sia quelli formati in un momento successivo alla fase istruttoria del giudizio di primo grado, sia  quelli che erano producibili nel corso del primo grado, in quanto già esistenti ma non prodotti dall'interessato.

La modifica è stata effettuata sulla base dell'art. 19, comma 1, lett. d, della legge delega n. 111/ 2023, che però conteneva una formulazione errata, laddove il legislatore delegante poneva l'obiettivo di “rafforzare” un divieto di produrre “nuovi documenti”, che non esisteva.

La norma previgente, consentendo la produzione di “nuovi documenti” in appello senza limiti, divergeva dalle regole processuali civilistiche (art. 345 c.p.c.). Mentre il nuovo art. 58 consente l'ingresso di “nuovi documenti” soltanto nel caso in cui il Giudice di secondo grado li ritenga “indispensabili” ai fini della decisione della causa, come stabiliva l'art. 345, comma 3, c.p.c. fino alla riforma ad opera del DL 22 giugno 2012, n. 83 (conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) e come tuttora prevede, nel giudizio amministrativo d'appello, l'art. 104, comma 2, c.p.a.

Nelle altre giurisdizioni (civile e amministrativa) tale preclusione è diretta ad impedire pratiche dilatorie del processo. Ma, tale obiettivo non appare pertinente in un processo che, prevedendo in generale un'unica udienza, si contraddistingue per la celerità nei gradi di merito.

D'altra parte, l'eliminazione della possibilità di produzione di documenti in appello non tiene conto del rapporto esistente tra le risorse giudiziarie e le liti pendenti. Le numerose riforme del processo civile, infatti, miravano ad alleggerire il carico di lavoro dei giudici d'appello, oberati da un numero eccessivo di controversie. Nel grado d'appello del processo tributario, invece, gli arretrati sono del tutto fisiologici e poco significativi. Non c'era, quindi, da raggiungere uno sfoltimento dei carichi di lavoro della Corti tributarie di secondo grado talmente urgente da giustificare una forte riduzione del diritto di difesa con il divieto di produrre documenti in appello. Si è così sacrificata in modo ingiustificato una miglior chance difensiva, che rispondeva all'esistenza di un'ampia e diversificata platea di difensori abilitati nella giustizia tributaria e dalla eterogenea formazione dei giudici tributari.

Concetto di indispensabilità dei “nova” in appello

Il richiamo, poi, del concetto di “indispensabilità” ai fini della decisione dei “nuovi documenti” e dei “nuovi mezzi di prova”, laddove sarebbe stato più semplice estendere anche ai “nuovi documenti” la valutazione di “necessità” da parte dei giudici già prevista per le “nuove prove”, impone di indagarne la portata. In particolare, ai fini dell'interpretazione del concetto di “indispensabilità” dei “nova” in appello, è utile richiamare la giurisprudenza che si è formata sulla analoga disposizione che era prevista nel rito civile. Nell'ambito processuale civilistico si sono sviluppati due distinti orientamenti giurisprudenziali.

Quello prevalente considera indispensabili i nuovi mezzi di prova quando siano dotati di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già utilizzate dalla sentenza di primo grado, ovvero quando siano tali da dissipare uno stato di incertezza sui fatti controversi (cfr., ad esempio, Cass. 31 agosto 2015, n. 17341).

Il secondo indirizzo giurisprudenziale, invece, pone l'indispensabilità in relazione alla sentenza di primo grado ed al modo in cui essa si è formata: la pronuncia impugnata deve evidenziare, cioè, la necessità di un apporto probatorio che, durante il contraddittorio e l'istruzione probatoria condotta in primo grado, non era apparso come necessario; pertanto, se lo sviluppo del contraddittorio e dell'istruzione avrebbero consentito alla parte di avvalersi del mezzo di prova, deve escludersi che esso sia indispensabile, posto che la decisione si è formata prescindendone.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sent. n. 10790/2017, hanno accolto il primo dei due orientamenti ed evidenziato le criticità del secondo (definito come tesi della “indispensabilità ristretta”). In particolare, secondo le S.U., la prova indispensabile è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nella preclusione istruttoria.

Dunque, applicando tale interpretazione delle S.U. anche nel processo tributario, nel caso di rigetto del ricorso in primo grado per carenza di prova su un fatto decisivo per il giudizio, la prova “senza margini di dubbio” di tale fatto dovrebbe essere acquisita dalla Corte di secondo grado in quanto “indispensabile” ai fini della decisione.

Definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione

Infine, si deve tenere presente che l'introduzione dell'art. 47ter, che prevede la definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione (sull'esempio dall'art. 60 c.p.a.), comporta il rischio che, nel caso in cui il giudice del primo grado in sede cautelare ritenesse conclusa l'istruttoria definendo il giudizio a termini istruttori ancora aperti, con il modificato art. 58 l'appellante non avrebbe possibilità di produrre documenti nemmeno in secondo grado. In questo modo, il rischio della presentazione di un'istanza cautelare è di limitare l'acquisizione di prove a quelle allegate al ricorso, senza più alcuna integrazione istruttoria né in primo né in secondo grado. Tale rischio comporta una attenta valutazione sull'opportunità di presentare l'istanza di sospensione unitamente al ricorso introduttivo del giudizio e, in ogni caso, una indagine del materiale probatorio utilizzabile più anticipata possibile.