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La riforma dell’onere della prova nel processo tributario

26 Settembre 2023 |

Nell'ambito degli interventi attuati dalla L. 130/2022, è stato introdotto un nuovo comma 5-bis nell'art. 7 D.Lgs. 546/92, avente ad oggetto l'onere della prova nel giudizio innanzi alle Corti di giustizia tributarie. Un intervento, questo, che sulla carta appare foriero di importanti novità. Quali le linee di pensiero e di analisi che si stanno formando sulla portata della novella?  

La riforma del processo tributario

Con la L. 130/2022, è stato riformato il processo tributario. In realtà, la procedura non è stata modificata in modo significativo; non di meno, è stato introdotto un nuovo c. 5-bis, nell'art. 7 D.lgs. 546/92, avente ad oggetto l'onere della prova nel giudizio innanzi alle Corti di giustizia tributarie. Un intervento, questo, che sulla carta appare portatore di importanti novità.

Sicuramente, si tratta di una previsione assolutamente inaspettata, in quanto mai comparsa nei lavori preparatori. E questo, purtroppo, si vede, perché è una previsione che appare un po' incompiuta e che, con ogni evidenza, avrebbe meritato ben altro approfondimento.

Va poi osservato che, con riferimento al nuovo c. 5-bis, si sono palesate, fin da subito, due linee di pensiero.

Le reazioni alla novità

Una prima linea, più tradizionalista e forse ‘cinica', si è mostrata abbastanza tiepida rispetto alla novità. Per questa linea di pensiero, infatti, la nuova norma si limita a codificare, per la materia tributaria, la regola già contenuta nell'art. 2697 c.c. sul riparto dell'onere della prova. Non innoverebbe assolutamente rispetto agli insegnamenti tradizionali sul punto secondo cui, in materia tributaria, la prova incombe sull'amministrazione finanziaria che è attore in senso sostanziale, laddove il contribuente, chiamato a reagire invocando il giudice, è attore solo in senso formale. In questa prospettiva, ecco allora che spetta sempre all'Agenzia, in prima battuta, provare le ragioni della pretesa e, solo se ed in quanto detto onere sia puntualmente assolto, la prova contraria incombe sul contribuente. A questa regola fanno ovviamente eccezione le varie presunzioni legali, che invertono l'onere della prova (art. 2728 c.c.), ampiamente diffuse nella materia tributaria, al punto che, proprio la loro ampia previsione è, da sempre, evocata come argomento a conferma della regola sull'onere della prova in capo all'Autorità fiscale. Altra eccezione, ma anche questa codificata dalla nuova norma, è in tema di rimborso, dove, in ossequio all'art. 2697 c.c., si è sempre ritenuto che l'onere della prova incomba sul contribuente. La nuova norma, come detto, codifica proprio tale regola.

I primi interventi della Cassazione

A questa prima tesi, assai tiepida sulla portata della novella, che va però osservato, è stata già accolta dalla Suprema Corte (Cass. 27 ottobre 2022 n. 31878; Cass. 30 marzo 2023 n. 8956), se ne contrappone un'altra, indubbiamente più innovativa. Ad avviso di questa seconda linea di pensiero, l'intervento con il nuovo c. 5-bis andrebbe letto come una sorta di emancipazione del comparto tributario dalla regola civilistica dell'art. 2697 c.c. Inoltre, la norma dovrebbe essere vista nella sua globalità, senza fermarsi al primo inciso («L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato»), che, in effetti, riprende solo la regola civilistica.

Le prove e il loro rango dimostrativo

Di contro, leggendo e valorizzando tutta la norma, ecco che emergono altri elementi, affatto peculiari al tema tributario. Così, quando la norma afferma che «Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio» ovvero che «annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni», diviene possibile declinare in modo assolutamente peculiare l'onere della prova. Alla stregua del nuovo dato normativo, per soddisfare l'onere della prova non dovrebbe più bastare un qualunque elemento argomentativo, dovendo invece ricorrere sempre e solo e propriamente prove, ossia elementi dotati di quello specifico rango dimostrativo. Anche la norma civilistica, a rigore, prevede che l'onere della prova debba essere soddisfatto con prove, ma non si può dimenticare come, nei fatti, la prassi si sia orientata diversamente, fino ad ammettere validi anche quadri meramente indiziari. Ora, se il quadro indiziario lo consente espressamente la norma (ad es. l'art. 39 c. 2 DPR 600/73), nulla questio; in tutti gli altri casi, però, il quadro solo indiziario non dovrebbe bastare più. Va evidenziato, infatti, come nel nuovo c. 5-bis, l'esigenza che sia fornita una prova è ribadita ripetutamente. Circostanza, questa, che porta a ritenere che, per fondare la decisione del giudice, devono essere usate oggi solo delle prove, che emergono nel giudizio; soprattutto, si deve trattare di prove in grado di dimostrare in modo compiuto e completo, in termini oggettivi, la pretesa a giudiziocomunque sufficiente»).

Con ogni probabilità, la verità sta nel mezzo

La teoria più tiepida, coglie certamente nel segno laddove rileva come la novella, in concreto, abbia innovato il giusto, di fatto non modificando in concreto l'assetto sull'onere della prova, almeno per come si era venuto delineando nella prassi anche giudiziale. Non si può dire, insomma, che vi sia stato nulla di autenticamente rivoluzionario. In particolare, questo significa che la novella non impatta sul funzionamento delle presunzioni legali, che continuano a funzionare esattamente come prima. Lo stesso vale per le presunzioni semplici, che assurgono al rango di prova, anche se solo quando gravi, precise e concordanti. Nulla poi cambia neppure per le presunzioni giurisprudenziali, come quella sulla distribuzione degli utili extrabilancio nelle società a ristretta base sociale. Qui, a rigore, si tratta di una presunzione semplice che, tuttavia, ha assunto oramai i termini della presunzione legale, posto che viene fatta operare in modo automatico ed è difficile ipotizzare un libero apprezzamento del giudice circa la sua sussistenza. Sennonché, resta comunque una presunzione semplice, dal momento che il fatto ignoto della distribuzione degli utili in nero, desunto dalla ristrettezza della base sociale, è e rimane solo il frutto di un sillogismo a carattere presuntivo tipico delle presunzioni semplici. Semmai, va evidenziato come qui il vaglio di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 c.c.) sia oramai acquisito e non più in discussione, nel senso che la giurisprudenza vi ha dato oramai costante conferma. Sicché, trattandosi di una presunzione semplice, comunque grave, precisa e concordante, a tutti gli effetti riveste il valore di una prova, per cui la regola dell'art. 5-bis non può impattare.

Tuttavia, anche la diversa teoria coglie in parte nel segno.

La lettura testé vista, non riesce infatti a giustificare la novella, che evidentemente qualche cosa deve aver voluto aggiungere rispetto agli assetti già consolidati. Non è stato innovato il funzionamento dell'onere della prova, ma è lecito aspettarsi che possano essere state modificate le regole con cui questo onere deve funzionare in concreto. Così, ad esempio, in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, non dovrebbe più valere l'insegnamento giurisprudenziale per cui l'Agenzia può assolvere il proprio onere dimostrando un semplice quadro indiziario per ricostruire la responsabilità del contribuente di non essersi reso conto della frode. Alla stregua del nuovo parametro normativo, non può ritenersi sufficiente, da parte dell'Agenzia, offrire solamente un quadro indiziario, posto che il quadro indiziario non è ancora una prova (ma, appunto meri indizi). Nel momento in cui la norma ha rimarcato, scandendolo plurime volte, l'esigenza che sia fornita una prova puntuale, non contraddittoria, sufficiente e compiuta, si deve reputare oramai inadeguato un semplice quadro indiziario. Anche perché, se ancora valesse l'insegnamento tralaticio della Suprema Corte, per cui basta un quadro indiziario per accollare al contribuente l'onere della prova circa la propria buona fede, bisognerebbe poi riconoscere che sia sufficiente il solo quadro indiziario a fondare la pretesa; ciò, almeno, in tutti i casi in cui il contribuente non riesce a fornire la prova contraria. Ma questo contraddice chiaramente lo spirito della nuova norma, perché – come visto - la nuova norma dice ben altro.