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Studi professionali: documentazione dettagliata per le spese anticipate


01/12/2021 | Fabrizio Pacchiarotti

Le prestazioni rese da uno studio professionale senza ricevere un compenso sono da intendersi, ai fini fiscali, come spese di rappresentanza deducibili nella misura normativamente prevista. La documentazione di tali spese deve essere effettuata operazione per operazione, e non con riferimento alla totalità delle operazioni riferibili a un determinato periodo d'imposta (Cass. 25 novembre 2021 n. 36584).

Con l'ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha stabilito che le prestazioni rese da uno studio professionale in assenza di corrispettivo, stanti rapporti di amicizia o parentela od anche solo ragioni di convenienza, sono da intendersi, ai fini fiscali, quali spese di rappresentanza deducibili nella misura prevista dall'art. 108 TUIR. Inoltre, con tale pronuncia la Suprema Corte ha preso in esame la tematica delle modalità con cui è necessario documentare le spese anticipate dal professionista in nome e per conto del cliente.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in parziale accoglimento dell'appello proposto da uno studio notarile (costituito in forma di società semplice successivamente posta in liquidazione), aveva annullato l'avviso di accertamento in rettifica della dichiarazione da quest'ultimo presentata per il periodo di imposta 2007.

L'Ufficio aveva contestato allo studio, in forza del disconoscimento di anticipazioni in parcelle, una mancata contabilizzazione di compensi, nonché l'indebita deduzione di costi in parte non documentati e in parte privi di inerenza.

Rilevando come il giudice di prime cure avesse, a sua volta, accolto parzialmente il ricorso introduttivo relativamente alle riprese concernenti la deduzione dei costi ritenuti non inerenti (spese per canoni nonché prestazioni gratuite), la CTR aveva ritenuto di accogliere l'appello della società relativamente al rilievo afferente ai maggiori compensi asseritamente non dichiarati.

L'Agenzia delle Entrate ha dunque proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione:

(i) degli artt. 15 DPR 633/72, 54 TUIR e 8 D.Lgs. 446/97, stante l'annullamento, da parte dei giudici di secondo grado, della ripresa relativa ai maggiori compensi accertati a seguito del disconoscimento delle anticipazioni dichiarate, e ciò nonostante la pronuncia impugnata avesse riconosciuto che lo studio non aveva rispettato gli adempimenti previsti dall'art. 15 cit.;

(ii) degli artt. 54 e 109 TUIR, perché la pronuncia impugnata aveva dichiarato la legittimità della deduzione delle spese sostenute in relazione a prestazioni gratuite, sebbene non inerenti.

La Corte di cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, rilevando in prima battuta la presenza di “elementi di ambiguità” nella motivazione della sentenza resa dalla CTR. Quest'ultima, infatti, pur stigmatizzando l'operato della società contribuente consistito nell'indicare in plurime parcelle spese per anticipazioni invero non documentate, ha dichiarato l'infondatezza del relativo rilievo di parte erariale in quanto, delle predette fatture, talune recepivano importi per spese anticipate superiori a quelli documentati, altre invece importi inferiori, “con il risultato algebrico di una neutralizzazione degli errori e l'assenza di un'influenza sulla determinazione degli imponibili”.

Tale impianto decisionale non è condiviso dal Collegio. L'art. 15 DPR 633/72, infatti, prevede che non concorrono a formare la base imponibile (in quanto mere partite di giro prive della natura di corrispettivo) “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte […] purché regolarmente documentate”.

Il professionista non può documentare le spese per anticipazioni connesse alle operazioni compiute a favore di un cliente in un dato periodo d'imposta in maniera sintetica e complessiva: al contrario, è tenuto a documentarle in maniera dettagliata, ricollegandole specificamente alle singole operazioni cui in concreto si riferiscono.

Pertanto, nel caso di specie, a giudizio della Corte non può ritenersi integrato il requisito di cui al richiamato art. 15, stante l'incongruenza manifesta tra gli importi indicati nelle fatture e quelli rivenienti dalla documentazione prodotta dalla contribuente.

Quanto al secondo motivo, la Suprema Corte ne ha dichiarato la fondatezza ma “nei limiti che seguono”. In particolare, infatti, secondo la CTR alcune delle prestazioni professionali erano state rese dallo studio notarile in assenza di un compenso, in virtù di rapporti amicali, di parentela o di convenienza nonché al fine ulteriore di incentivare l'attività.

Ne consegue, secondo l'iter logico-giuridico seguito dai giudici di legittimità, che i costi collegati a tali prestazioni (regolarmente fatturate, ma i cui corrispettivi non sono mai stati riscossi per le predette ragioni) non possono che essere qualificati come spese di rappresentanza, sostenute ai fini del miglioramento dell'immagine della società e dell'incremento delle sue possibilità di sviluppo.

Come tali, i costi in parola sono senz'altro deducibili nei limiti di cui all'art. 108 c. 2 TUIR nella formulazione al tempo vigente, vale a dire “nella misura di un terzo del loro ammontare e, per quote costanti, nell'esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi”.

La sentenza gravata, pertanto, viene cassata con rinvio alla CTR Piemonte in diversa composizione, con specifica prescrizione al giudice del rinvio dell'accertamento dei limiti di deducibilità delle spese di rappresentanza in oggetto.

Cass. 25 novembre 2021 n. 36584