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Gli sconti applicati dal datore di lavoro ai propri dipendenti: la risposta dell'Agenzia delle Entrate


06/04/2021 | Dario Fiori

L'Agenzia delle Entrate (Risp. AE 29 marzo 2021 n. 221), esaminando il caso della concessione, da parte di un datore di lavoro ai propri lavoratori, di una “card” che permette di acquistare capi di abbigliamento della stessa società con uno sconto rispetto al prezzo di listino, ribadisce il principio secondo cui non emergono valori imponibili nel caso in cui il prezzo pagato dai lavoratori superi quello pagato da soggetti legati con accordi franchising o di somministrazione e se l'abbuono, non cumulabile, non superi quello applicato alla generalità della clientela in alcuni periodi dell'anno.

Il caso proposto dall'istante

La società istante chiede se la concessione di una “card sconto” ai propri dipendenti possa rappresentare per gli stessi un compenso in natura imponibile e, come tale, essere soggetto alla ritenuta di acconto IRPEF prevista dall'art. 23 DPR 600/73. Il quesito è avanzato da una ditta di abbigliamento che intende rafforzare il proprio “brand” veicolando i prodotti anche tramite i propri lavoratori, ai quali vuole attribuire la card per poter accedere ad uno sconto rispetto al prezzo di listino.

Per la produzione dei propri prodotti la Società si rivolge a terzisti, mentre la commercializzazione dei beni avviene tramite:

  • punti vendita di proprietà, gestiti da propri dipendenti;
  • negozi in franchising gestiti da dipendenti di partner commerciali;
  • contratti di somministrazione (fornitura prodotti) gestiti da dipendenti di partner commerciali.

La “card sconto”, secondo l'istante, avrebbe le seguenti caratteristiche:

  • nominativa;
  • non cedibile;
  • utilizzabile esclusivamente dal dipendente;
  • non cumulabile con iniziative analoghe adottate sul mercato (es. campagne di sconto per la clientela).

Lo sconto sarebbe pari a circa il 25% del prezzo di vendita finale del prodotto. Con specifico riferimento all'ammontare dello sconto, l'istante precisa che:

  • il dipendente pagherebbe un prezzo in ogni caso superiore rispetto a quello che la Società pratica nei confronti dei soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione, nonché maggiore rispetto al costo sostenuto dalla stessa Società;
  • in alcuni periodi dell'anno lo sconto praticato al dipendente potrebbe essere di uguale importo rispetto a quello di cui si possono avvantaggiare gli altri clienti.

Il parere dell'Agenzia delle Entrate

L'Agenzia delle Entrate (AE) nell'incipit del suo parere esordisce ricordando il noto principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, di cui all'art. 51, c. 1, TUIR, ovvero l'assoggettamento a tassazione, in generale, di tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro. Nel dettaglio, si tratta dei c.d. compensi in natura, consistenti in opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro. Ai fini di una determinazione in denaro dei predetti valori l'art. 51, c. 3, TUIR rimanda, più in generale, alle disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute all'art. 9 TUIR; con riferimento ai beni prodotti dal datore di lavoro e ceduti ai dipendenti, tale valore è determinato in misura pari al “prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”.

Sul tema degli sconti, si ricorda che l'AE si era già pronunciata in passato con la Ris. AE 29 marzo 2010 n. 26/E, nella quale era stato precisato che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale.

Come chiarito dal ministero delle Finanze con la storica Circ. MEF 23 dicembre 1997 n. 326, il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto gratuitamente, dal momento che se invece per la cessione dello stesso il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate.

Nel caso di specie, l'AE osserva che:

  • il prezzo pagato dai dipendenti della Società istante è superiore a quello pagato dai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione;
  • lo sconto praticato ai dipendenti non supera quello applicato, in alcuni periodi dell'anno, agli altri clienti e non può essere cumulato con altre iniziative commerciali analoghe adottate in favore della clientela.

Per tali motivi, secondo l'Amministrazione finanziaria, nel caso proposto non si ravvisa alcuno “sconto” fiscalmente rilevante, né materia fiscalmente imponibile ai fini IRPEF.

Inoltre, nella riposta in questione viene chiarito che l'utilizzo della “card sconto”, non è ostativa alla predetta irrilevanza fiscale, in quanto secondo la descrizione fatta dall'istante (card nominativa, non cedibile, utilizzabile esclusivamente dal dipendente e non cumulabile con iniziative analoghe) essa possiede tutte le caratteristiche necessarie a configurarla quale mero strumento tecnico attraverso il quale lo sconto può essere fruito dai lavoratori.

Risp. AE 29 marzo 2021 n. 221