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Retrocessione fondo in trust ai disponenti: progressi tributari e miti da sfatare


02/04/2021 | Carlo Bertoncello

La recente sentenza della Cassazione consolida l'orientamento della Corte circa l'individuazione del momento impositivo ai fini tributari nella sola distribuzione finale ai beneficiari, indicando nella legge sul “Dopo di noi” un principio di carattere ordinamentale (Cass. 24 marzo 2021 n. 8179).

Il caso trattato

A seguito della rinuncia irrevocabile da parte dei beneficiari di due trust della propria posizione, ai sensi dell'art. 10A della Trusts Jersey Law 1984 (cioè la legge regolatrice dei trust), non disponendosi nulla di diverso nell'atto istitutivo, i trust si trovavano nella condizione di non poter realizzare il programma prefigurato divenendo così un “automatic resulting trust”. In altri termini, venendo meno i beneficiari (cioè una delle tre “certezze” fondanti per l'esistenza di un trust, secondo la regola in Knight v Knight del 1840) in applicazione dell'art. 42 della legge regolatrice, il fondo in trust è tenuto dal trustee a disposizione del disponente. Questi procedeva a chiedere ed ottenere la restituzione dei beni per cessazione del trust a norma dell'art. 43 della legge regolatrice.

L'AE contestava l'applicazione dell'imposta ipo-catastale in misura fissa da parte del notaio, connotando la reintestazione dei beni di un effetto traslativo fiscalmente rilevante, ma risultava soccombente in sede di legittimità.

Un principio ordinamentale?

La sentenza è di rilevante interesse perché, con grande chiarezza espositiva e richiamando precedenti pronunce (Cass. 17 gennaio 2018 n. 975; Cass. 21 giugno 2019 n. 16699; Cass. 17 luglio 2019 n. 19167), ribadisce il principio secondo cui per determinare l'imponibilità dei trasferimenti, è necessario guardare alla capacità contributiva del soggetto avente causa, in ossequio ai dettami costituzionali (art. 53 Cost.).

L'atto di reintestazione formale al disponente, al pari dell'atto di dotazione del trust, è quindi da intendersi atto neutro, che non comporta alcun trasferimento di ricchezza e, quindi, non è rilevanti ai fini tributari.

Nel caso della reintestazione, manca infatti la possibilità di un arricchimento gratuito da parte di un soggetto terzo. Nel caso dell'atto di conferimento, invece, la sentenza precisa come manchi la definitività del trasferimento essendo la proprietà del trustee sui beni da intendersi come “qualificata” o “finalizzata”, ovvero meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale. Si tratta quindi di due diverse situazioni cui è applicabile il medesimo principio.

Il momento impositivo sorge pertanto solo all'atto di trasferimento finale dei beni ai beneficiari, mentre, nel caso in esame, sono applicabili le imposte (ipotecarie e catastali nello specifico) in misura fissa.

Questa conferma è particolarmente importante in quanto ribadisce l'orientamento consolidato della Corte, applicandolo per la prima volta al caso di reintestazione dei beni e dunque confermandone la portata generale.

In aggiunta, suffraga tale impostazione anche con la disposizione normativa (del medesimo tenore) prevista dall'art. 6 c. 4 L. 112/2016 (c.d. “Dopo di noi”) alla quale sembrerebbe essere attribuito il valore ricognitivo di un principio ordinamentale, che porrebbe così nel nulla interpretazioni difformi.

Altri insegnamenti per una miglior comprensione dell'istituto del trust

In aggiunta ai chiarimenti forniti sul piano fiscale, dalla sentenza in commento è possibile formulare ulteriori interessanti riflessioni.

Nello specifico, risulta del tutto evidente come nella gestione di un qualsivoglia trust, la conoscenza della normativa straniera che lo regola e della giurisprudenza rilevante è di fondamentale importanza per una corretta applicazione del diritto applicabile. Ciò in quanto, è appena il caso di ricordarlo, la normativa italiana non dispone di una “trust law” dovendosi quindi necessariamente rinviare a leggi straniere che devono poi essere applicate nel senso pieno del termine, non essendo un mero formalismo.

In quest'ottica è da leggersi il chiarimento per cui nell'ambito del trust non è applicabile la risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell'art. 1372 c.c. in quanto essa presupporrebbe la natura contrattuale del trust, mentre ciò sarebbe del tutto incompatibile con la natura unilaterale dell'atto istitutivo. Da quanto si può dedurre dalla sentenza, l'AE avrebbe avanzato tale ipotesi.

Talvolta, però, si può ancora incorrere nel falso mito secondo cui un trust potrebbe essere sciolto “a piacimento”. Questa visione è tipicamente promossa da coloro i quali reputano il trust poco confacente alle proprie esigenze, svilendo così le volontà del disponente o, se la richiesta viene da questi, manifestando una profonda incomprensione dell'istituto.

Invece, le motivazioni che possono portare al termine anticipato del trust devono essere analizzate in punta di diritto nell'ambito dell'atto istitutivo, della legge regolatrice e della giurisprudenza (straniera) applicabile. È necessario così fare un distinguo tra i casi in cui il programma del trust possa dirsi compiuto anticipatamente e quelli in cui il programma risulti irrealizzabile. Come descritto nella sentenza, i presupposti e le conseguenze, non da ultimo sul piano tributario, delle due fattispecie sono evidentemente assai diverse.

Cass. 24 marzo 2021 n. 8179