29/11/2023 | Annalisa De Vivo, Antonio Valentini
In vista della comunicazione dei titolari effettivi al Registro delle imprese entro l'11 dicembre, le FAQ di MEF, Banca d'Italia e UIF affrontano alcune criticità legate all'individuazione del titolare effettivo in ipotesi particolari, come ad esempio nelle catene di controllo. Nel caso di specie, la risposta fornita non ha mancato di suscitare perplessità tra gli operatori.
Da: QuotidianoPiù
Il 10 ottobre 2023 è divenuto finalmente operativo il c.d. Registro dei Titolari Effettivi, con la scadenza per la fase di primo popolamento fissata – salvo proroga – all'11 dicembre 2023.
La necessità di comunicare i dati entro 60 giorni ha riacceso il dibattito interpretativo in merito ai criteri per l'individuazione del TE, in particolare con riferimento al criterio della proprietà indiretta di cui all'art. 20, c. 2, D.Lgs. 231/2007. Infatti, la scarsa chiarezza del dettato normativo – così come riformulato a partire dal 4 luglio 2017, data di entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017 attuativo della IV direttiva Antiriciclaggio – ha ridato linfa a una preesistente contrapposizione di tesi in merito al summenzionato criterio.
Al dibattito si sono aggiunti MEF, Banca d'Italia e UIF con le FAQ pubblicate il 20 novembre 2023. Le risposte che tutti aspettavano sembrano per certi versi scalfire alcune certezze su cui gli operatori del settore potevano contare.
La riforma del 2017: tra bottom up e top down
Come accennato, con la novella operata dal D.Lgs. 90/2017 il legislatore ha introdotto il Registro dei titolari effettivi, ridefinendo le modalità di individuazione degli stessi. In particolare, l'art. 20 D.Lgs 231/2007, a partire dal 2° comma, individua, ordinandoli per priorità, i criteri da utilizzare per determinare i “beneficial owner”, ossia coloro cui, in ultima istanza, sia attribuibile la proprietà diretta o indiretta delle Società di capitali o il relativo controllo: criterio della proprietà, criterio del controllo e criterio residuale.
In merito al primo criterio la norma dispone:
«a) costituisce indicazione di proprietà diretta la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente, detenuta da una persona fisica;
b) costituisce indicazione di proprietà indiretta la titolarità di una percentuale di partecipazioni superiore al 25% del capitale del cliente, posseduto per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona.».
La modalità di calcolo della soglia superiore al 25% di partecipazione al capitale, evidentemente, costituisce l'elemento attorno al quale ruota l'applicazione del criterio ogniqualvolta, a monte della società cliente, ci sia una catena di controllo e sia necessario individuare quale persona fisica eserciti tale controllo.
Il tema, in realtà, è da sempre oggetto di dibattito anche in sede europea, in considerazione dell'ambiguità del dettato normativo precedente alla novella del 2017. Già nel 2012, il “Report on the legal, regulatory and supervisory implementation across EU Member States in relation to the Beneficial Owners Customer Due Diligence requirements under the Third Money Laundering Directive” - predisposto congiuntamente dalle tre autorità europee ESMA, EBA ed EIOPA - evidenziava l'esistenza di due contrapposte interpretazioni:
- approccio c.d. “top down”, secondo il quale la soglia deve determinarsi esclusivamente in relazione al capitale sociale del cliente, attraverso l'applicazione del c.d. criterio del (de)moltiplicatore. Secondo tale approccio, si procede con la moltiplicazione delle partecipazioni detenute lungo la catena partecipativa al fine di verificare il superamento della soglia del 25%;
- approccio c.d. “bottom up”, in virtù del quale la soglia deve determinarsi in relazione al capitale sociale del cliente e di qualsiasi altra entità lungo la catena partecipativa. Secondo tale approccio, è necessario individuare tutti i soggetti titolari di partecipazioni superiori al 25% nel capitale sociale sia del cliente (primo livello) sia di tutte le altre società presenti risalendo l'intera catena partecipativa.
Ferma restando un'applicazione disomogenea dei diversi approcci tra i Paesi europei, in Italia, se da un lato la originaria ambigua formulazione della norma (art. 2 dell'allegato tecnico al D.Lgs. 231/2007, oggi art. 20) non agevolava affatto la scelta della soluzione da adottare, dall'altro lato, con la riforma del 2017, sembrava che il legislatore avesse intrapreso una strada precisa, sciogliendo definitivamente ogni dubbio.
Infatti, l'art. 20 sopra riportato, così come riformulato dal D.Lgs. 90/2017, nell'indicare la percentuale qualificante di proprietà fa espresso riferimento al «capitale del cliente», lasciando propendere per una valorizzazione della soglia di proprietà al livello della società cliente e non nei successivi livelli della catena. In tal senso sembrava orientarsi anche Banca d'Italia, che nella Comunicazione del 2018 sanciva l'inapplicabilità delle parti del provvedimento del 2013 dedicate all'individuazione del titolare effettivo secondo l'approccio cd. bottom up.
Di contro, l'orientamento consolidatosi negli anni ha visto prevalere l'approccio bottom up, richiamato quale criterio di identificazione, seppur in via prudenziale, anche dal CNDCEC e dal CNN.
Ancora, de iure condendo, la recente proposta di Regolamento Europeo in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo, presentata nel 2021, dispone che il controllo attraverso una partecipazione superiore al 25% dovrebbe essere valutato a ogni livello di proprietà (Considerando n. 65). La scelta di un approccio “bottom up” è, altresì, confermata dall'art. 42, ai sensi del quale «[…] per "controllo attraverso una partecipazione" si intende la proprietà del 25% più uno delle azioni o dei diritti di voto o di altra partecipazione nella società […] a ogni livello di proprietà».
FAQ MEF, Bankitalia e UIF
Il problema si ripropone in quanto, tra le recenti FAQ sulla titolarità effettiva, appare la seguente: «Come va individuato il titolare effettivo in caso di proprietà indiretta se nella catena partecipativa risultino società controllate?».
Al riguardo, MEF, Banca d'Italia e UIF asseriscono che la soglia di cui all'art. 20, c. 2, D.Lgs. 231/2007 rileva sia in caso di proprietà diretta (ossia, partecipazione detenuta direttamente da una persona fisica) che indiretta (ossia, partecipazione detenuta indirettamente per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona). Nel caso specifico di proprietà indiretta per il tramite di società controllate, la soglia del 25% +1 va considerata esclusivamente «in relazione al capitale della società cliente, al quale si fa espressamente riferimento, risalendo poi la catena partecipativa per individuare la persona fisica o le persone fisiche che esercitano il controllo ai sensi dell'art. 2359, comma 1, c.c.»
Tale lettura, evidentemente basata su una interpretazione letterale della norma e in contrasto con l'approccio bottom up a oggi prevalente, ha nuovamente animato il dibattito.
Ad avviso di chi scrive, l'orientamento offerto dalle Autorità è da ritenersi legittimo sotto il profilo del ragionamento giuridico sotteso (e presunto).
Innanzitutto, la formulazione della definizione di titolare effettivo antecedente al 2017 – periodo nel quale si è formata la dicotomia bottom up/top down – prevedeva quale criterio di individuazione il possesso o controllo (diretto o indiretto) di percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto, stabilendo che una partecipazione del capitale corrispondente al “25+1” fosse sufficiente a soddisfare tale criterio.
La norma attualmente vigente presenta una struttura differente: è previsto che costituisca indicazione di proprietà indiretta la titolarità di una percentuale superiore al 25% del capitale del cliente, detenuta «[…] per il tramite di società controllata […]». La vexata quaestio, evidentemente, ruota proprio intorno all'espresso riferimento a “società controllata” e al concetto di “controllo” del quale la norma non offre alcuna definizione.
Ebbene, il dibattito successivo alla novella del 2017 è sembrato concentrarsi unicamente sul tema del possesso di percentuale di capitale (e dei livelli della catena di controllo a cui verificarne la sussistenza), quasi ignorando il riferimento al “controllo” e all'assenza di una sua definizione o, eventualmente, considerando tale riferimento come sinonimo di “possesso di percentuale di capitale superiore al 25%”. Di qui, la scelta di applicare o meno il cd. (de)moltiplicatore.
Al contrario, correttamente gli autori delle FAQ si concentrano sulla precisa lettera della norma, sottolineando come nel nostro ordinamento sia rinvenibile una puntuale disciplina del “controllo” di società ricorrendo all'art. 2359 c.c.
Pertanto, in assenza di una definizione di controllo nella normativa antiriciclaggio (anche a livello europeo, de iure condito), MEF, Banca d'Italia e UIF ricorrono al diritto interno al fine di fornire una lettura della normativa conforme al diritto cogente.
A tal proposito, in merito all'apparente contrasto tra l'interpretazione offerta nelle FAQ e le disposizioni contenute nel Regolamento europeo Antiriciclaggio, è doveroso sottolineare come la futura disciplina contempli una globale revisione della definizione di titolare effettivo ivi compreso, per l'appunto, l'inserimento di un'apposita definizione di “controllo”. Sarebbe improprio, infatti, interpretare per analogia l'attuale precetto sulla base di una definizione contenuta in una norma che presenta presupposti differenti.
Quanto alla possibile commistione tra criteri elencati nell'art. 20 (proprietà e controllo) – apparentemente ravvisabile in una rapida lettura – è doveroso sottolineare come nella FAQ non si faccia in nessun caso riferimento al criterio di cui al 3° comma dell'art. 20. Infatti, è lo stesso 2° comma, come già evidenziato, a citare il concetto di “controllo” con riferimento alla società tramite la quale una persona fisica possiede una percentuale di partecipazione al capitale superiore al 25%. Il suggerimento di ricorrere ai criteri di cui all'art. 2359 c.c. per interpretare le parole “tramite società controllate” appare del tutto legittimo poiché insiste su un concetto richiamato nel criterio medesimo.
In definitiva, ad avviso di chi scrive, la FAQ in oggetto apre la strada a una interpretazione alternativa, altrettanto valida e coerente con il tenore letterale della norma, che sembra porsi nel mezzo tra l'approccio top down e quello bottom up. Tale interpretazione, peraltro, è rinvenibile nel recente studio del Notariato sul titolare effettivo.
Per quanto meritevole di apprezzamento, in ogni caso, la tesi appare tardiva in considerazione dell'imminente scadenza e dell'impossibilità oggettiva per i soggetti coinvolti di cambiare l'approccio interpretativo diffusamente utilizzato da anni.