09/11/2023 | La Redazione
L'Agenzia delle Entrate ricorreva avverso una decisione della CTR Lombardia che aveva annullato l'avviso di accertamento per il recupero dell'imposta di registro in relazione ad una clausola penale contenuta in un contratto di locazione concluso tra due società.
L'avviso era fondato sulla ritenuta applicabilità alla clausola dell'art. 21 c. 1 del d.P.R. 131/1986 che così dispone: “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”. La CTR, ritenendo invece che la norma non fosse applicabile al caso di specie attesa la correlazione della clausola penale, per sua intrinseca natura, al contenuto essenziale del contratto di locazione (e, pertanto, la sua non autonoma tassabilità), aveva annullato l'avviso.
Con il ricorso, l'AdE assumeva la natura autonoma della clausola penale, tenuto conto dell'autonomia strutturale e funzionale della stessa correlata al verificarsi di un evento futuro ed esterno al contratto.
La questione cui la Corte di cassazione è chiamata a dare soluzione consiste, dunque, nel valutare l'applicabilità del disposto della norma richiamata alle clausole penali contenute nei contratti.
La Corte prende le mosse da una ricostruzione storica dell'esegesi del termine “disposizioni” impiegato dall'art. 21, comma 1, d.P.R. 131/1986 e, già prima, dall'art. 9 del r.d. 3269/1923. Si legge nella pronuncia che, se in un primo momento il termine venne interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel senso di riferirlo alle “singole clausole” di una convenzione, o anche ad uno degli elementi di essa, a partire dagli anni '50 il termine venne ricondotto al negozio giuridico e non più alle singole clausole di cui esso si compone.
L'ambito di applicazione dell'art. 21, comma 1, d.P.R. 131/1986, pertanto, “presuppone una pluralità di negozi giuridici contenuti nel medesimo documento, in tal senso dovendosi intendere il termine “disposizioni”, giacché se si trattasse di pattuizioni o clausole, concernenti un solo negozio giuridico, sia pure misto, l'unicità della tassazione discenderebbe dai principi generali che informano la legge di registro”.
A questo punto, la Corte valorizza, in modo concorde a quanto affermato dalla stessa Amministrazione Finanziaria con la circolare n. 18/E del 2013, la causa giuridica del contratto quale elemento unificante le diverse clausole contenute nell'atto sottoposto a registrazione: “l'atto complesso va assoggettato ad un'unica tassazione, come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa, in quanto le varie disposizioni sono rette da un'unica causa e, quindi, derivano necessariamente, per loro intrinseca o natura, le une dalle altre (…)”.
Quanto al caso della clausola penale, la Corte afferma (con il conforto delle Sezioni Unite: Cass. SU 25 marzo 2022, n. 9775) che, attesa la sua funzione non tanto sanzionatorio-punitiva bensì coercitiva e risarcitoria, essa “non ha quindi causa propria e distinta (…), ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta (…). Le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto e ad esse deve applicarsi la disciplina generale dell'oggetto del contratto (v. Cass. dell'08/10/2020, n. 21713, in motiv.), tenuto conto che trovano la loro fonte e radice nella medesima causa del contratto rispetto alla quale hanno effetto ancillare”.
In definitiva, la Corte respinge il ricorso dell'AdE e pronuncia il seguente principio di diritto: “ai fini di cui all'art. 21 d.P.R. 131/86, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell'imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata”.