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Frode IVA nella catena di acquisti: il contribuente paga l’IVA tre volte


15/03/2023 | Andrea Carinci

L'operatore economico che non si è avveduto di una frode IVA a monte della catena di acquisti, finisce per pagare l'IVA tre volte. Sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore che, almeno, gradui diversamente le sanzioni, nei limiti edittali, in ragione dell'effettiva offensività della condotta.

Fonte: QuotidianoPiù

La Corte di Giustizia si mostra assolutamente ferma. Il diritto alla detrazione IVA, per gli operatori economici, che pongono in essere operazioni imponibili, costituisce un corollario della neutralità Iva. Sicché, dal momento che la neutralità integra, a sua volta, un profilo distintivo di detta imposta e, al contempo, un suo carattere immanente ed imprescindibile, ecco che il pieno riconoscimento del diritto alla detrazione va considerato, per ciò stesso, un principio ed un valore assoluto per il funzionamento dell'Iva. Ciò significa che eventuali limiti alla detrazione possono essere giustificati solo in casi assolutamente eccezionali e per soddisfare esigenze superiori. Come può essere, in effetti, il contrasto alle frodi IVA.

In presenza di frodi, la Corte ritiene, infatti, che l'eventuale esercizio del diritto alla detrazione Iva si configuri come un'ipotesi di esercizio abusivo del predetto diritto che, come tale, deve essere impedito. Si giustifica così la altrettanto pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia che nega il diritto alla detrazione Iva in presenza di operazioni fraudolente, siano esse integrate dall'inesistenza oggettiva dell'operazione come dall'inesistenza soggettiva.

Detta soluzione appare certamente condivisibile, comunque giustificabile, nei casi di inesistenza oggettiva, dove cioè l'operazione non è stata proprio posta in essere, per cui il disconoscimento del diritto alla detrazione non trova ragioni di peculiare criticità, giacché perfettamente rispondente alla logica voluta dalla Corte di Giustizia, stante anche la piena consapevolezza della frode di tutte le parti. Maggiori questioni si pongono, invece, per le frodi consumate mediante operazioni soggettivamente inesistenti, almeno in ragione dell'atteggiamento preso sul punto ancora da parte della Corte di Giustizia.

Accade infatti, che per le operazioni soggettivamente inesistenti la giurisprudenza della Corte di Giustizia sia assolutamente ferma nel disconoscere il diritto alla detrazione non solo per coloro che hanno effettivamente e consapevolmente partecipato alla frode, ma anche per chi, pur non avendovi partecipato, sapeva oppure avrebbe potuto sapere, usando l'ordinaria diligenza, della frode. Sennonché, in questo modo il perimetro soggettivo di coloro che subiscono la sanzione dell'indetraibilità si amplia grandemente, con effetti che appaiono, tuttavia, quanto meno perversi.

Guardando al nostro sistema nazionale dell'Iva, la soluzione della Corte di Giustizia, che, per inciso, è ripresa pedissequamente dalla nostra giurisprudenza di Cassazione, conduce invero a soluzioni assolutamente paradossali, per non dire inique.

Accade infatti che l'operatore economico che, per mera negligenza, non si è avveduto di una frode Iva a monte della catena di acquisti, finisca per pagare l'IVA ben tre volte: la prima volta con l'Iva pagata al proprio fornitore; la seconda, è l'Iva ripresa perché indetraibile ed, infine, la terza, è quella dovuta in ragione della sanzione del 135%, di cui all'art. 5 c. 4-bis D.Lgs. 471/97. Tutto questo quando il soggetto che ha commesso la frode, al massimo, paga un'unica volta l'Iva, che è poi quella riscossa dalla controparte e non versata (ex art. 21 c. 7 DPR 633/72), mentre, se l'ha comunque dichiarata, la sanzione diventa quella del 30%, ossia quella prevista per gli omessi versamenti.

Osservazioni e possibili soluzioni

Certo, c'è anche il piano penale: peccato, che anche qui la posizione di colui che, per mera negligenza, non si è avveduto della frode e di colui che, invece, la frode l'ha congeniata ed attuata, è, almeno sulla carta, la medesima. Gli artt. 2 ed 8, dedicati rispettivamente all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed all'emissione di dette fatture, prevedono infatti le medesime sanzioni (reclusione da quattro ad otto anni).

È però evidente che una tale soluzione risulta assolutamente iniqua, irrazionale ed asistematica, dal momento che punisce in misura più grave la condotta meno offensiva, ossia la negligenza rispetto al dolo.

L'aspetto che la rende poi ancora più difficile da giustificare è che, con ogni evidenza, l'obiettivo di una simile soluzione parrebbe quello di rendere tutti gli operatori vigili e così cooperanti con le amministrazioni finanziarie nel combattere le frodi. Peccato, che poi la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia sia sempre stata nel senso di affermare che non è compito dei singoli operatori quello di contrastare le frodi e l'evasione IVA, essendo questo, invece, un compito proprio ed esclusivo delle Autorità finanziarie.

Ma anche i principi di neutralità e di proporzionalità rimangono qui chiaramente pregiudicati. Il principio di neutralità resta violato perché per l'operatore economico ‘negligente' l'Iva diventa un costo, addirittura doppio; la proporzionalità risulta poi violata perché una siffatta soluzione contrasta in maniera sicuramente eccessiva, appunto sproporzionata, quella che, alla fine, rimane una mera culpa in vigilando. Tanto più che anche il criterio dell'ordinaria diligenza, con cui si deve valutare la cifra della negligenza, si presta a molteplici quanto divergenti letture.

Occorre trovare un rimedio. Certo, sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore che, almeno, gradui diversamente le sanzioni, nei limiti edittali, in ragione dell'effettiva offensività della condotta. Altrimenti, occorre ritornare dinanzi alla Corte di Giustizia per renderla edotta delle conseguenze assolutamente irrazionali della sua giurisprudenza nel nostro sistema sanzionatorio, affinché possa elaborare adeguati correttivi.

È certamente una partita che occorre giocare, perché di fatto il tutto, da un lato sta mettendo in ginocchio molte imprese, schiacciate da pretese, per imposta e sanzioni, assai gravose e, dall'altro, terrorizza le medesime imprese per il futuro, lasciate come sono nell'assoluta incertezza di sapere quando si può dire effettivamente realizzato il criterio dell'ordinaria diligenza.

Art. 5 D.Lgs. 471/97

Art. 21 c. 7 DPR 633/72