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Senza il parere del MISE il recupero del credito è illegittimo


10/10/2022 | Federica Maria Bucci

Una recente pronuncia di merito ribadisce l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria di richiedere e ottenere un preventivo parere dal MISE in caso di disconoscimento di un credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo che si fondi su valutazioni tecnico-scientifiche di non trascurabile complessità (CTP La Spezia 16 settembre 2022 n. 276).

Fonte: QuotidianoPiù

È illegittimo il disconoscimento di un credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo congruamente documentato dal contribuente se l'accertamento dell'Amministrazione finanziaria sulla natura dell'attività svolta non è supportato e confermato da un parere del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). E ciò perché quest'ultimo è l'unico soggetto competente a verificare in concreto la natura dell'attività svolta e la sua sussumibilità nelle fattispecie agevolabili di cui all'art. 3 DL 145/2013 alla luce delle definizioni e dei criteri di classificazione tecnico-scientifici contenuti nel Manuale di Frascati.

Questa è la conclusione raggiunta dalla CTP La Spezia con la recente sentenza 16 settembre 2022 n. 276, la quale conferma un trend giurisprudenziale che si sta consolidando (si veda, da ultimo CTP Ancona 24 maggio 2022 n. 324 e CTP Roma 18 maggio 2022 n. 5918).

Controversia oggetto del giudizio e la decisione della CTP

Con atto di recupero del credito, l'Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una società le compensazioni effettuate utilizzando crediti d'imposta per attività di ricerca e sviluppo (art. 3 DL 145/2013 e s.m.i.), sostenendo che il progetto di ricerca e la conseguente attività di sviluppo non avessero le caratteristiche di innovatività e incertezza richieste dalla norma per poter godere dell'agevolazione.

Avverso tale atto, la contribuente aveva presentato ricorso sostenendo, tra le altre cose, che il recupero dovesse considerarsi illegittimo e/o comunque infondato perché basato su valutazioni tecnico-scientifiche che potevano essere compiute solo ed esclusivamente dal MISE, il quale per tale ragione doveva essere previamente interpellato per fornire un proprio parare. Pertanto, mancando un parere del MISE che avvalorasse la tesi dell'Ufficio, l'atto andava annullato.

L'Ufficio si costituiva, chiedendo il rigetto del ricorso perché, ai sensi dell'art. 8 DM 27 maggio 2015, la richiesta di parere al MISE era facoltativa e, pertanto, per l'Agenzia delle Entrate il recupero poteva considerarsi legittimo anche in sua assenza.

La CTP La Spezia ha condiviso le considerazioni della contribuente enfatizzando il riparto di competenze tra Amministrazione finanziaria e MISE disposto dal legislatore. A parere dei giudici, infatti, solo al MISE è stato attribuito il potere di accertare “la rispondenza delle attività di ricerca e sviluppo ai parametri normativamente previsti per la fruizione del credito d'imposta”, poiché esso è l'unico soggetto dotato delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche. Di conseguenza, qualora nell'ambito dei controlli debbano effettuarsi valutazioni di carattere tecnico circa la natura dell'attività svolta dal contribuente, la facoltà dell'Amministrazione finanziaria di richiedere il parere al MISE (art. 8 DM 27 maggio 2015) diventa un obbligoa fronte di problematiche tecniche di complessità non trascurabile”. Infatti, in assenza di tale autorevole e professionale parere, le motivazioni dell'Agenzia delle Entrate si atteggiano a mere deduzioni difensive, come tali insufficienti a giustificare il disconoscimento del credito.

Normativa di riferimento e il ruolo del MISE

Le conclusioni raggiunte dai giudici di La Spezia sono sicuramente condivisibili e trovano riscontro in una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di agevolazioni per le attività di ricerca e sviluppo.

Ai sensi dell'art. 3 DL 145/2013, per i periodi di imposta dal 2015 al 2019, le imprese che effettuavano investimenti in attività di ricerca e sviluppo avrebbero potuto usufruire di un credito di imposta compreso tra il 25% ed il 50% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d'imposta precedenti.

La verifica della natura dell'attività svolta ai fini dell'applicazione delle agevolazioni riveste quindi un ruolo essenziale. Essa si risolve in un accertamento fattuale che, non solo deve essere condotto alla luce delle definizioni fornite in ambito UE alle attività di ricerca e sviluppo ed ispirate ai criteri individuati nel Manuale di Frascati (si vedano le comunicazioni della Commissione Europea in materia di aiuti di Stato per attività di ricerca e sviluppo, Com. Commissione Europea 2006/C 323/01 e Com. Commissione Europea 2014/C 198/01), ma presuppone anche il possesso di conoscenze tecnico-scientifiche di alto livello in capo a chi lo svolge.

Il legislatore ha ritenuto di dover individuare nel MISE il soggetto in possesso di tali conoscenze.

Quest'ultimo non solo è l'unico soggetto deputato a fornire un parere tecnico preventivo alle imprese (eventualmente anche per il tramite dell'Amministrazione finanziaria) per chiarire se una specifica attività possa rientrare tecnicamente nella nozione di “attività di ricerca e sviluppo” (si veda Circ. AE 27 aprile 2017 n. 13/E), ma è anche il soggetto a cui l'Amministrazione finanziaria, in sede di verifica ed accertamento, può rivolgersi per ottenere un parere successivo qualora siano necessarie valutazioni tecniche (DM 27 maggio 2015).

Infatti, le difficoltà riscontrate nella perimetrazione delle attività ammissibili al credito di imposta rendono necessario il più delle volte un intervento tecnico per evitare grossolani errori di valutazione. Di conseguenza, sebbene l'art. 8 DM 27 maggio 2015 riconosca una mera facoltà all'Amministrazione finanziaria di chiedere in sede di verifica ed accertamento il parere del MISE, è altrettanto vero che tale facoltà diventa obbligo se, dalle circostanze concrete e di fatto, emerge una difficoltà tecnica nella qualificazione dell'attività. In questo caso, la mancata richiesta del parere renderebbe arbitrario l'eventuale disconoscimento del credito d'imposta, con conseguente illegittimità dell'atto di recupero. Le valutazioni tecniche, infatti, attengono all'elemento fattuale e, di conseguenza, se errate inciderebbero negativamente sul presupposto applicativo della norma, con la conseguenza di rendere l'atto illegittimo.

Dopotutto, anche l'Amministrazione finanziaria deve informarsi ai principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità, i quali hanno come corollario la necessità di individuare correttamente e in modo univoco i presupposti fattuali per il legittimo esercizio del potere di accertamento. Di conseguenza, se essa non è dotata delle specifiche competenze tecniche necessarie per qualificare i fatti, dovrà rivolgersi necessariamente al MISE, pena l'illegittimità dell'atto impositivo per esercizio arbitrio del potere (rectius, eccesso di potere; cfr. CTP Ancona 2 aprile 2021 n. 392).

Conclusioni

La sentenza in commento è sicuramente da salutare con favore perché rispettosa del riparto di competenze tra pubbliche amministrazioni, quale espressione dei principi costituzionali che devono informare l'azione amministrativa, anche tributaria. Oltre, ovviamente, a consolidare un filone giurisprudenziale favorevole al contribuente che, si spera, possa offrire anche lo spunto per una riflessione interna all'Amministrazione finanziaria circa le modalità di esercizio del proprio potere di verifica ed accertamento.

Tuttavia, va ricordato che, in caso di problematiche tecniche complesse, il parere del MISE, pur se necessario ai fini della legittimità dell'atto impositivo, esprime comunque una posizione di parte che, se errata nel merito, giustificherà comunque l'annullamento dell'atto perché infondato (come peraltro correttamente già rilevato dalla CTP Reggio Emilia 14 settembre 2022 n. 173 commentata il 22 settembre 2022).

CTP La Spezia 16 settembre 2022 n. 276

Art. 3 DL 145/2013

Art. 8 DM 27 maggio 2015