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L’atto di recupero vanta le stesse tutele dell’atto di accertamento


10/08/2022 | Raffaella Messina, Marco Cramarossa

La Cassazione afferma la sostanziale assimilazione degli atti di recupero agli atti di accertamento individuando lo stesso riconoscimento in termini di tutela prevista dal termine dilatorio per la produzione di osservazioni e richieste al PVC da parte del contribuente e riconoscendo l'applicazione della riscossione frazionata.

Fonte: QuotidianoPiù

La Cassazione civile riconosce la sostanziale assimilazione degli atti di recupero agli atti di accertamento, e lo fa attraverso un percorso motivazionale che, da un lato, individua lo stesso riconoscimento in termini di tutela prevista dal termine dilatorio per la produzione di osservazioni e richieste al PVC da parte del contribuente (art. 12 c. 7 L. 212/2000) e, dall'altro, riconosce l'applicazione della riscossione frazionata. Sullo sfondo di quest'ultimo aspetto, si staglia la differenza tra crediti inesistenti e non spettanti e, di conseguenza, tra l'iscrizione o meno nei ruoli straordinari.

Atto di recupero

L'atto di recupero - introdotto dall'art. 1 c. 421 e ss. L. 311/2004 - è strumento con il quale l'Amministrazione finanziaria può procedere alla riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. 241/97, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi.

Il legislatore, con l'art. 27 DL 185/2008, ha tentato di meglio circoscrivere l'ambito oggettivo degli atti di recupero (attesa la “vaporosità” della fattispecie dei crediti indebitamente utilizzati), introducendo una specifica procedura rafforzata nel caso lo stesso abbia ad oggetto crediti considerati inesistenti. Inoltre, è stato introdotto un termine più lungo per la notifica (31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo, in base ai commi 16 e 17), nonché il ricorso all'iscrizione nei ruoli straordinari (c. 19, che rende applicabile l'art. 15-bis DPR 602/73).

Le ordinanze di luglio 2022: tra natura dell'atto e tutele del contribuente

Ad oggi, le maggiori problematiche derivanti dall'indebito utilizzo dei crediti d'imposta riguardano, da un lato, la qualificazione ontologica della patologia del credito stesso (oscillante tra la non spettanza e l'inesistenza) e, dall'altro, la natura accertativa (o meno) dell'atto di recupero.

Nel primo caso, l'intervento del legislatore nel 2015 (D.Lgs. 158/2015) e le recenti sentenze del 2021 (nn. 34443, 34444 e 33455) della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sulla differente qualificazione dell'indebito. Con riguardo, invece, alla natura dell'atto, nonostante si possa ormai parlare di orientamento consolidato, si riscontrano ancora resistenze da parte degli Uffici.

In particolare, rispetto a quest'ultimo tema, due recenti ordinanze della Cassazione di luglio (nn. 23223/2022 e 23289/2022) approdano alla definizione della natura degli atti recupero, riconoscendone la sostanziale assimilazione agli atti di accertamento, attraverso il percorso argomentativo che presuppone anche per essi la tutela rispetto all'emissione ante tempus e l'applicazione della riscossione frazionata.

L'atto di recupero deve rispettare il termine dilatorio

L'arresto n. 23223 del 25 luglio 2022 tratta di un atto di recupero di un credito d'imposta previsto dalla L. 388/2000, ritenuto non spettante dall'Amministrazione finanziaria in relazione alla collocazione territoriale dell'investimento, in quanto effettuato in una area diversa da quelle svantaggiate individuate dalla normativa di riferimento. La contestazione del contribuente riguarda la violazione del termine dilatorio di 60 giorni, di cui all'art. 12 c. 7 L. 212/2000. L'atto, infatti, era stato notificato solo dopo 12 giorni dalla chiusura della verifica, senza alcun riferimento ai motivi d'urgenza, rintracciato solo successivamente, peraltro non dall'Ufficio ma dalla CTR, nell'imminente scadenza del termine di prescrizione. L'Amministrazione finanziaria nel proprio controricorso, oltre a sostenere la rilevabilità anche d'ufficio di tale urgenza (come di fatto accaduto nel caso di specie), opponeva l'inapplicabilità agli atti di recupero della norma statutaria in parola, essendo gli stessi “ontologicamente distinti dagli avvisi di accertamento, ai quali soltanto la predetta norma si riferisce”.

Ebbene, su tale punto, i giudici di legittimità - in maniera lapidaria - affermano che la mancanza di un espresso riferimento all'atto di recupero nell'art. 12 è del tutto inconferente, posto che il termine dilatorio di 60 giorni si deve applicare anche a quest'ultimo, essendo lo stesso equiparabile all'atto accertativo (Cass. n. 15634/14), in tal modo declinando compiutamente anche i principi generali legati ai diritti e alle garanzie del contribuente.

Tale equiparazione risolve anche l'eccezione relativa alla sussistenza o meno delle valide ragioni di urgenza. Il richiamo è alla ormai costante giurisprudenza che ritiene non possa violarsi il termine dilatorio giustificando tale inosservanza con l'imminente scadenza del termine di decadenza dell'azione accertativa. L'onere, che grava indubbiamente sull'Amministrazione, deve fondarsi su fatti concreti, precisi e alla stessa non imputabili (Cass. nn. 15755/2020 e 492/2022). In caso contrario, l'atto è nullo, sia esso avviso di accertamento o atto di recupero.

Il presente arresto è interessante anche per la categoricità con cui la Corte affronta la specifica violazione del diritto al contraddittorio, sebbene nella particolare forma prevista dall'art. 12 c. 7 L. 212/2000, rispetto ad un PVC scaturito da indagini effettuate mediante accesso ai locali dell'impresa, circostanza che i giudici ben evidenziano come costitutiva del termine dilatorio di sessanta giorni.

Sul punto, a fronte dell'eccezione dell'Ufficio riguardante la sussistenza di un confronto svoltosi antecedentemente alla chiusura del PVC, la pronuncia sottolinea la perentorietà del temine statutario. La sua violazione, contrariamente a quanto sostenuto dall'Agenzia, è di particolare gravità, dal momento che impedisce il perfezionarsi dell'effettività del contraddittorio, posta a tutela dei diritti del contribuente. La Suprema Corte evidenzia altresì, pur se con una dubbia distinzione tra tributi armonizzati e non, che l'applicazione pratica di tale norma all'atto di recupero del credito d'imposta fa sì che non sia applicabile nemmeno la cosiddetta prova di resistenza. In conclusione, la mancata osservanza di quanto prescritto dall'art. 12, anche nel caso di atto di recupero, è violazione di una norma procedurale, che pertanto non potrà mai essere sanata dalla volontà di contemperare eventuali altri interessi seppur di natura pubblicistica (sul tema anche Cass. nn. 12713/2022 e 17818/2022).

Non sembra inconferente evidenziare che, sebbene nel corpo dell'intera pronuncia (in relazione all'atto anticipato) si faccia riferimento alla notifica, l'art. 12 c. 7, nel definire la nullità dell'atto, fa decorrere i termini dall'emissione dello stesso. Senza entrare nel merito della questione, peraltro sufficientemente pacifica (attesa la letteralità della norma), si segnala che proprio la Cassazione (ordinanza n. 33285/2021) individua tale termine in quello di sottoscrizione dell'atto da parte del funzionario, a nulla valendo che la notifica sia stata effettuata nel rispetto del termine dilatorio in questione.

L'atto che contesta l'indebito utilizzo accede alla riscossione frazionata

La seconda ordinanza n. 23289 del 26 luglio 2022 si occupa, invece, della delicata questione che interessa la fase della riscossione dell'atto di recupero impugnato. È dato esperienziale comune che gli Uffici, non riconoscendo l'applicabilità agli atti di recupero della riscossione frazionata prevista dall'art. 15 DPR 602/73, procedono con l'iscrizione a ruolo dell'intero importo contestato.

Le motivazioni addotte dall'Agenzia si basano, come nella causa in commento, sull'impossibilità di equiparare l'avviso di recupero del credito all'avviso di accertamento, in quanto il primo, non riguardando il rilevamento di un maggior imponibile, non potrebbe essere considerato un provvedimento impositivo.

La Cassazione, però, evidenzia come sia ormai consolidato l'orientamento secondo il quale gli avvisi di recupero costituiscono “manifestazioni della volontà impositiva dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione, richiamando peraltro la copiosa giurisprudenza a supporto di tale principio. In particolare, la duplice funzione svolta dai provvedimenti in questione, vale a dire di revoca dell'agevolazione e di contestuale liquidazione degli importi indebitamenti fruiti, fa sì che gli stessi assumano la veste di atto di accertamento tributario “inteso come qualsiasi atto che spieghi efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo”.

I giudici concludono ricordando che la ratio della riscossione frazionata è quella di contemperare le contrapposte esigenze del Fisco, mirate ad una celere riscossione dei tributi, e del contribuente, volte a non anticipare il pagamento di somme che all'esito del giudizio tributario potrebbero risultare non dovute. Ciò posto, è indubitabile che tale presidio normativo operi anche in riferimento agli atti di recupero di un credito di imposta.

In termini pratici, il comportamento tenuto dagli Uffici, con l'emissione della cartella riportante la debenza tributaria per l'intero importo, costringe il contribuente ad una ulteriore impugnazione. Non può non rilevarsi che il legislatore ha previsto una specifica procedura rafforzata (art. 27 c. 16 e ss. DL 185/2008) nel caso di indebita compensazione di crediti qualificabili come inesistenti. In questa specifica ipotesi, l'espressa previsione dell'iscrizione a ruolo straordinario rappresenta l'ulteriore argomentazione a supporto della riscossione frazionata nel diverso caso di crediti non spettanti.

Le problematiche connesse ai ruoli straordinari

L'utilizzo dell'iscrizione straordinaria dell'intera somma (imposte, interessi e sanzioni), ex art. 15-bis DPR 602/73, può avvenire esclusivamente nel caso di fondato pericolo (art. 11 c. 3 DPR 602/73), che, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità deve essere sempre adeguatamente motivato (Cass. nn. 15940/2021 e 7795/2020), a pena di nullità.

Come in un percorso circolare, si giunge allora all'ulteriore questione che attanaglia gli avvisi di recupero, vale a dire il confine tra credito inesistente (che legittima il ruolo straordinario) e credito non spettante.

Chiarissime sono però le conclusioni della Cassazione nelle note sentenze nn. 34443, 34444 e 33455 del 16 novembre 2021. In tale sede, si rafforza quanto già previsto dall'art. 13 c. 5 D.Lgs. 471/97 (modificato dal D.Lgs. 158/2015), precisando che la qualificazione di inesistenza presuppone la necessaria ricorrenza congiunta di due elementi: l'assenza del presupposto costitutivo e la non riscontrabilità di tale assenza mediante i controlli formali della dichiarazione.

Pertanto, solo al ricorrere delle condizioni costitutive della inesistenza del credito d'imposta utilizzato varranno le procedure rafforzate di cui all'art. 27 c. 16 e ss. DL 185/2008, mentre in tutti gli altri casi la riscossione di un atto di recupero dovrà seguire il medesimo trattamento di un accertamento, in quanto ad esso equiparabile.

Non ci si può che augurare che il cerchio si chiuda definitivamente, con l'emissione di atti di recupero che siano rispettosi delle norme vigenti e, possibilmente, anche degli illuminati principi tracciati, tempo per tempo, tanto dalla giurisprudenza di legittimità quanto dalla dottrina, nel rispetto della tutela dei diritti del contribuente.

Cass. 26 luglio 2022 n. 23289

Cass. 25 luglio 2022 n. 23223

art. 27 DL 185/2008